giovedì 7 marzo 2019

Giornata Internazionale della Donna 2019


L'8 marzo 2019, come è ormai tradizione ogni anno, il mondo celebra la Giornata Internazionale della Donna, per richiamare l’attenzione sulla lotta delle donne per i propri diritti.
E’ importante sottolineare che in tutto il mondo sono stati fatti molti sforzi, in vari settori, per la promozione delle donne. Nonostante ciò, la condizione di donne e ragazze resta preoccupante in molti paesi e società del pianeta. In questo articolo desidero condividere con voi una breve riflessione sul fenomeno dei matrimoni precoci, causa di molte disgrazie nella vita di tante giovani nel mio paese, il Cameroun.
Se in diversi paesi, soprattutto occidentali, il matrimonio di una bambina di 10 o 11 anni è qualcosa di inimmaginabile, in alcune società del Sud del Mondo 12 milioni di ragazze (1 su 5) ogni anno, ancora oggi sono vittime dei matrimoni precoci e forzati.
Dei 20 Paesi in cui il fenomeno è più diffuso 18 si trovano nel continente africano:

Paesi con il più alto tasso di matrimoni infantili *
Niger
76
Rep. Centrafricana
68
Ciad
67
Bangladesh
59
Burkina Faso
52
Mali
52
Sud Sudan
52
Guinea
51
Mozambico
48
Somalia
45
Nigeria
44
Malawi
42
Madagascar
41
Eritrea
41
Etiopia
40
Uganda
40
Nepal
40
Sierra Leone
39
Rep. Dem. del Congo
37
Mauritania
37
*Il tasso di prevalenza dei matrimoni infantili corrisponde alla percentuale delle ragazze dai 20 ai 24 anni che hanno contratto matrimonio o unione prima dei 18 anni (Dati UNICEF 2017).

Le statistiche generali per Paese rischiano però di mascherare situazioni ugualmente drammatiche a carattere regionale. Ad esempio nel mio Paese, il Cameroun, secondo uno studio del 2014[1], il tasso medio di matrimoni precoci è del 31%, ma in alcune zone, soprattutto nel nord del Paese, il 39,1% delle ragazze di età compresa fra 15 e 19 anni sono sposate o convivono. Inoltre il 10% di questi matrimoni avvengono prima dei 15 anni. La principale causa del fenomeno risiede in alcune pratiche tradizionali. Infatti, nella maggior parte dei casi, se non nella quasi totalità, questi matrimoni o unioni, non riconosciuti dalla legge, vengono trattati attraverso accordi tra famiglie.
La legge attuale fissa l’età minima per contrarre matrimonio a 18 anni per i ragazzi e a 15 anni per le ragazze con autorizzazione dei genitori.
Le bambine e le donne, nella società tradizionale, sono considerate come esseri inferiori, di proprietà della famiglia d’origine prima e dell'uomo che le prende in moglie dopo. E così accade che bambine anche di 8 o 9 anni, vengano date in sposa a uomini di 50, 60 o 70 anni e oltre. E’ facile immaginare le drammatiche conseguenze sullo sviluppo fisico e psichico di queste figlie-mogli: gravidanze precoci (da 12-13 anni) con elevato rischio di mortalità materno-infantile, sfruttamento, analfabetismo...
La questione dell'istruzione delle bambine e delle ragazze riveste un ruolo chiave per prevenire e arginare questo fenomeno. Poiché nella mentalità comune la ragazza è destinata al matrimonio, la sua famiglia non vede la necessità di investire risorse per garantirle un’istruzione, perché alla famiglia d’origine spetterebbero solo gli oneri ma non i benefici che andranno a vantaggio della famiglia dello sposo. Si calcola che le ragazze che non vanno a scuola hanno una probabilità di 3 volte superiore di contrarre matrimonio prima dei 18 anni.  Oltre il 56% delle ragazze fra 15 e 19 anni non istruite sono attualmente sposate contro il 9% di quelle che hanno un livello di istruzione secondaria.
L’analfabetismo è il male principale da curare. Ad esempio, nella regione Estremo Nord del Cameroun, una zona a maggioranza musulmana dove le tradizioni sono molto forti, alcuni organismi lottano quotidianamente per favorire l'accesso delle ragazze alla scuola. Fra queste ricordiamo le Suore Orsoline di Gesù, che l’OPAM ha sostenuto con diversi progetti. L’istruzione è uno dei pilastri fondamentali per cambiare il modo di pensare e fermare il fenomeno dei matrimoni precoci. Per favorire la frequenza scolastica delle bambine e delle ragazze è necessario trovare le risorse per supportare i costi della loro istruzione e avviare attività di formazione per gli adulti soprattutto rivolte alle donne (sensibilizzazione sull’importanza dell’istruzione, alfabetizzazione, apprendimento di un mestiere, puericultura, igiene, consapevolezza dell'importanza dell'istruzione, colloqui educativi con gli uomini, ecc.).
Al di fuori del Cameroun, la situazione di altri Paesi conferma l’efficacia dell’istruzione nella prevenzione dei matrimoni precoci. Ad esempio, in Nigeria l'80% delle giovani di età compresa tra 20 e 24 anni senza istruzione sono state maritate prima di aver compiuto 18 anni, contro solo il 15,9% delle nigeriane che hanno avuto una istruzione secondaria o superiore. In Senegal, la percentuale di donne sposate prima dei 18 anni è quasi otto volte minore tra quelle con un'istruzione secondaria o superiore rispetto a quelle senza istruzione (6,1 contro il 48,4%), mentre in Ghana il divario è minore, ma ancora significativo (23,3% contro 40,3%).
In conclusione, possiamo affermare inequivocabilmente che uno dei punti chiave nella lotta alla discriminazione delle donne e al fenomeno dei matrimoni precoci è l’istruzione delle popolazioni e in particolare delle bambine e delle ragazze.
Georges Bissiongol
Consulente in Sviluppo



[1] Institut National de la Statistique et UNICEF, Enquête par grappes à indicateurs multiples (MICS) 2014 Cameroun, Décembre 2015 (accessed March 2019)


DONA ORA PER IL PROGETTO DI ISTRUZIONE DELLE DONNE

giovedì 14 febbraio 2019

I bambini nelle viscere dell’inferno dorato del Burkina.

Qualche mese fa è venuto a trovarci p. Eugenio Jovier, missionario dei Padri Bianchi con il quale da anni collaboriamo per l’alfabetizzazione delle popolazioni dei villaggi più remoti del Burkina Faso. Nel presentarci il nuovo progetto, che pubblichiamo nel numero del nostro giornale di Gennaio Febbraio 2019, abbiamo parlato con lui di un fenomeno drammatico che coinvolge anche tanti bambini.

Quando sentiamo parlare di cercatori d’oro ci tornano alla mente immagini tramandate dai film della vecchia America ai tempi di quel fenomeno conosciuto come «corsa dell’oro», o «febbre dell’oro».

Ma la corsa all'oro esiste ancora ed è soprattutto in Africa che si concentra. In Burkina Faso il fenomeno ha raggiunto dimensioni preoccupanti e sta letteralmente distruggendo il tessuto sociale ed economico burkinabè.

“Il Paese degli uomini integri” (questo significa Burkina Faso), uno dei Paesi più poveri del mondo, è fra i principali forzieri d’oro dell’Africa. L’industria estrattiva dell’oro rappresenta una delle principali attività economiche contribuendo per il 20% al PIL nazionale.
Quella che potrebbe costituire una ricchezza per la crescita e lo sviluppo del Paese, in realtà si sta rivelando una maledizione, come purtroppo accade a tutti quei Paesi, soprattutto africani, che hanno ricevuto in dono dal Creatore risorse naturali in abbondanza.
Le miniere sono nelle mani di multinazionali che hanno pieno potere e agiscono incuranti della popolazione: costringono interi villaggi a spostarsi per aprire nuovi siti estrattivi, sfruttano manovalanza locale a bassi costi, sono esentati dal versare imposte e destinano quasi tutto l’oro estratto all’esportazione.
Tutto questo non fa che procurare benefici al Nord del Mondo mentre il popolo burkinabè vede peggiorare di giorno in giorno le sue misere condizioni di vita.
Ma c’è di più. La febbre dell’oro ha contagiato la popolazione del Burkina e così, accanto ai siti ufficiali di estrazione delle multinazionali, sono nati centinaia di siti estrattivi abusivi. E il Governo che non riesce a controllare le multinazionali ancor meno riesce a fermare il fenomeno delle miniere d’oro illegali che sta mettendo KO la già fragile economia del Paese.
Ci raccontava p. Jovier: “Quando qualcuno trova un po’ d'oro in un campo, una pepita, la notizia si diffonde rapidamente e dopo pochi giorni una folla di gente proveniente da ogni parte si trasferisce lì per cercare il tesoro. Armati di piccone e pale lasciano casa, lavoro, scuola, tutto... nell’illusione di una ricchezza facile.”
Siti minerari sorgono ovunque. La terra burkinabè sembra una groviera.I fori scavati possono avere una profondità che va da 3 o 4 metri a molto di più, anche 25 o 30 metri. Scavano verticalmente ma anche orizzontalmente, a volte facendo lunghe gallerie che fuggono sotto la terra. Le persone lavorano in gruppi e ogni gruppo scava una buca. I fori possono essere molto numerosi, 30 o 40 o più e sono distribuiti su una vasta area di terreno.”
Qui i cercatori d’oro lavorano 8-10 ore in condizioni disumane: immersi nel buio, con temperature che superano i 50 gradi e la sola aria che possono respirare è quella che i loro compagni in superficie incanalano in coni di plastica, aria prodotta dallo sventolare di sacchi di plastica o juta, o per i più fortunati prodotta da ventilatori. Non ci sono macchinari. Tutto viene fatto con la sola forza delle braccia utilizzando mazzette per spaccare le pietre e carrucole di argani di legno e corde per portarle in superficie.
Il rischio di morire è elevatissimo e si aggrava nella stagione delle piogge quando, a causa dei crolli delle pareti, vengono seppellite nel fango tante persone e i loro sogni.
Famiglie intere abbandonano le campagne e vanno a vivere nella zona intorno ai pozzi, creando villaggi di disperati che vivono in mezzo alla polvere in baracche di sacchi di plastica e legno.
Per scendere nei buchi non conta l’età ma solo la resistenza e il coraggio e sono molti i bambini utilizzati per questo per la loro corporatura che ben si adatta a pozzi di diametri ridottissimi. 
L’Unicef parla di 500.000-700.000 minori coinvolti nelle miniere d’oro. Ma anche chi non scende nell’inferno ha la sua dose di fatica e di rischio. Bambini e donne sono impiegati per spaccare le pietre portate in superficie fino a ridurle in piccoli sassi poi immessi in macchine trituratrici per farne una sabbia sottilissima. Il rumore assordante dei generatori e di questi macchinari è la colonna sonora di questo inferno dove non vola una parola perché la fatica lascia solo poco fiato per respirare. 
Una volta ottenuta la sabbia, altro compito destinato a donne e bambini è quello di creare un impasto mischiando la polvere con acqua e sostanze nocive come il mercurio o il cianuro, capaci di legarsi all’oro. 
Successivamente scaldando questa “pasta” i cui fumi sono altamente nocivi, si recupera l’oro e parte del mercurio.
Altri bambini vengono impiegati per procurare acqua percorrendo decine di km al giorno con carichi pesanti.
Non sempre è facile trovare rocce aurifere. A volte bisogna scavare anche per mesi. In questo tempo i lavoratori non vengono pagati dall’impresario che assicura loro solamente il cibo.
Ci dice p. Jovier: “Alla fine il guadagno medio è di 2,5 € al giorno per i più fortunati. Ma le conseguenze di questa corsa all’oro sono drammatiche: le campagne vengono abbandonate e la produzione agricola che era la principale fonte economica del Paese va riducendosi di giorno in giorno; il tessuto sociale si disgrega e la vita in questi nuovi agglomerati fatiscenti dove risiedono anche 7000 persone si svolge in condizioni inaccettabili. I bambini vanno a lavorare con rischi elevatissimi per la salute rischiando la vita.
In molte zone del Burkina mancano le scuole e questo costituisce un motivo ulteriore per spingere le famiglie a intraprendere la corsa all’oro. Ma dove i bambini e i giovani hanno la possibilità di ricevere un’istruzione il fenomeno ha proporzioni decisamente inferiori perché le famiglie sono convinte che la possibilità di studiare costituisca l’unica strada per un futuro migliore per i propri figli e per il Paese”.
Diceva Thomas Sankara, primo Presidente del Burkina, che aveva a cuore il futuro del suo Paese:
 “Una delle condizioni per lo sviluppo è la fine dell’ignoranza. (...) L’analfabetismo deve essere incluso fra le malattie da eliminare il più presto possibile dalla faccia della Terra”.
Hanno ucciso Sankara per le sue idee ma non riusciranno a distruggere il suo sogno di un futuro migliore per il suo popolo. E noi, tutti insieme, possiamo contribuire a realizzarlo.
Anna Maria Errera


mercoledì 19 dicembre 2018

BUON NATALE 2018! CON L’AUGURIO CHE IN TUTTI NOI NASCA E VIVA LA SPERANZA

La speranza è l’attesa feconda dell’Essere-in-pienezza, della vita piena. Noi abbiamo la vita, ma solo Dio è il Vivente perché è Lui la vita. Essere in attesa o sperare significa dare spazio al Vivente; l’attesa fecondante è già un anticipo della sua presenza nell’oggi.
L’attesa, questo tendere-ad, vuole dire camminare verso una meta. La vera attesa non consiste dunque nel sedersi ed aspettare una qualche fortuna; è piuttosto un muoversi continuamente verso il futuro promettente anticipato nell’impegno odierno.
Per noi cristiani, il futuro, la meta non è una fantasia umana: è una rivelazione, è una Verità donata, una grazia, un venire-ad-nos di Dio. Ovviamente è Dio che fa il primo passo per muoversi verso di noi. D’altro canto la vita, l’inquietudine, i bisogni, i disagi fanno muovere anche noi. Sant’Agostino faceva notare che il cuore dell’uomo è inquieto finché non riposa in Dio. La venuta di Gesù è sacramentale, perché è la manifestazione dell’incontro di Dio con l’umanità, il mistero dell’incarnazione, il NATALE. La speranza in Gesù nato da Maria, come Verbo che è il senso della vita, è carica di motivazione. Se la vita ha valore, allora vale l’impegno per essa. Se la vita non vale, chi me lo fa fare! E allora mangiamo, beviamo... perché domani moriremo.
Il futuro è certamente un non-ancora, ma è già la gestazione dell’essere e la speranza è lo stupore dell’essere. Quanto più ci impegniamo, tanto più grande sarà la nostra speranza.
Buon Natale! Con l’augurio che in tutti noi nasca e viva la speranza.
Don Robert Ngongi
e tutta l’OPAM

lunedì 10 dicembre 2018

L’OPAM e la giornata mondiale dei diritti umani



di Massimiliano Casto

Sono trascorsi 70 anni da quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, un documento di importanza straordinaria in cui la dignità dell’individuo viene riconosciuta quale fondamento del diritto internazionale. “Una scelta irrevocabile di civiltà per il genere umano, punto di riferimento per l’intera comunità internazionale", come ha affermato il nostro Presidente della Repubblica Mattarella. 
Il documento rappresenta un riferimento essenziale per l’educazione interculturale: la Dichiarazione è costituita da un preambolo e da trenta articoli che fissano valori cardine come l’uguaglianza, la libertà e la dignità di tutti gli uomini, il diritto al lavoro, all'istruzione, nonché l’irrilevanza di distinzioni di razza, colore, religione, sesso, lingua e opinione politica. 
Dei trenta articoli, l’OPAM ne ha particolarmente a cuore due: l’articolo 1 che sancisce come tutti gli esseri umani nascano liberi ed eguali in dignità e diritti, e l’articolo 26 che stabilisce invece come ogni individuo abbia diritto all’istruzione e debba essere indirizzato al pieno sviluppo della personalità umana, al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. 
Da quando è nata, l’OPAM ha sempre identificato nell’educazione e nell’istruzione gli strumenti privilegiati per sconfiggere la povertà, promuovere la dignità di ogni uomo, favorire l’autosviluppo dei paesi più bisognosi del mondo. Inoltre l’OPAM si è sempre impegnata a promuovere una cultura di pace attraverso l'educazione interculturale, favorendo relazioni di fraternità e reciprocità fra Nord e Sud del Mondo. Anche per questo nel 1982 l’Unesco ha conferito all'OPAM una menzione d’onore per l'impegno profuso nel corso degli anni, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica dei paesi industrializzati sulla natura e sulle dimensioni dell’analfabetismo nel mondo, e per l'appoggio morale e materiale che presta generosamente nel settore dell'alfabetizzazione in Africa, in Asia e nell'America Latina. Un importante riconoscimento che ha fortificato l’impegno nel donare un’istruzione a tanti bambini bisognosi e l’amore verso questa missione, per assicurare uno sviluppo duraturo e sostenibile a tanti Paesi del Sud del Mondo.

giovedì 22 novembre 2018

Sabato 24 Novembre l'Opam protagonista su Radio Maria













Sabato sera 24 Novembre alle ore 22.45 in diretta nazionale su Radio Maria andrà in onda la trasmissione "Attualità Ecclesiali" curata e condotta da Massimiliano Casto. Il tema della serata sarà: "La povertà e l'alfabetizzazione nel mondo". Gli ospiti della puntata saranno: Sua Eminenza Cardinale Francesco Montenegro, presidente della Caritas e della Commissione Episcopale della CEI per il servizio della carità e la salute, Don Robert Ngongi presidente dell'OPAM, il prof. Ernesto Diaco direttore dell'ufficio Nazionale per l'Educazione e la Scuola della CEI, la prof..ssa Oriana Montoneri e la prof.ssa Elvira Costarella.



mercoledì 31 ottobre 2018

"Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me”

di Don Robert Ngongi
     Accogliere Dio nell’indifeso è un preciso invito di Gesù. Arrivato a Cafàrnao dice infatti ai suoi discepoli: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.  E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.  
Oggi più che mai risuona attuale tale invito: la Chiesa e l’intera società hanno il preciso dovere di interessarsi attivamente di tutte le creature indifese, degli ultimi, dei bambini. Sono proprio loro i Grandi per Dio, i Primi del Regno. E la Chiesa che non può vivere avendo per fine la propria grandezza! Essa esiste solo come servizio per la comunione di Dio con l'umanità. Gesù a Cafarnao compie poi un gesto inedito: un abbraccio ad un bambino. Gesù non mette se stesso al centro, ma il più indifeso, il più debole, il più fragile - il bambino - che necessita di cura e premura, più attenzione e più amore.  “…Lasciate che i bambini realizzino l’incontro con “l’Amore” e non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio” . 
Come ridare speranza ai bambini, soprattutto a quelli che vivono situazioni di povertà o di estremo dolore e difficoltà? Come possono, ad esempio, dopo un’atroce ed oscura esperienza di abbandono, dopo una estenuante alternanza di aspettative e di delusioni, aprirsi nuovamente alla speranza contro ogni speranza? Sono loro stessi ad indicarci la strada. Dal loro esempio di naturale e determinata predisposizione all’accoglienza, noi dovremmo aprirci al dono della vita, aprirci a Dio e far in modo che il Suo Amore ci avvolga a tal punto da farci superare, nel totale affidamento, le nostre debolezze, i nostri dubbi nell’accoglienza dell’Altro!
I bambini si aspettano tutto dall’adulto, sono quindi i Maestri nell’arte della fiducia e dello stupore. Loro sì che sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo. Incuriositi da ciò che porta ogni nuovo giorno, sono pronti al sorriso quando ancora non hanno smesso di asciugarsi le lacrime, perché si fidano totalmente. Del Padre e della Madre.
Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese vittima dell’Olocausto scriveva “Se Dio è come un bambino significa che va protetto, accudito, nutrito, aiutato e soprattutto accolto”.
Quindi appare chiaro che il nostro mondo avrà un futuro migliore quando l'accoglienza, da dovere sociale o generica benevolenza, diventerà atto d’amore concreto.
Ed accogliere o respingere i disperati, i piccoli, che sia alle frontiere o alla porta di casa mia, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso.
Noi dell’OPAM facciamo una proposta che va oltre l’emergenza e ci impegniamo quotidianamente per questo: aiutiamo questi ragazzi a imparare, a conoscere, ad assimilare un mestiere; solo in questo modo potranno pensare a un futuro migliore integrandosi con tutti “gli altri”.

martedì 12 luglio 2016

La misura della felicità

foto Bug Malone

Dal rapporto sulla Felicità nel Mondo pubblicato recentemente dall’ONU emerge un quadro che contrasta con quanto sperimentiamo nei tanti rapporti che viviamo con amici di ogni parte del Mondo nel nostro servizio all’OPAM. Per questo abbiamo chiesto una riflessione a Padre Antoine M. Zacharie Igirukwayo, carmelitano docente di Spiritualità di Roma, originario del Burundi, Paese che nelle classifiche stilate dal rapporto ONU risulterebbe essere quello più infelice.

“Eh amici miei, sono felice, molto felice; grazie all'impegno profuso quest’anno ho ottenuto ciò a cui aspiravo” (Emwe bane ba mama ndahiriwe n’ukuri, ndahiriwe cane, umwete nagize muri uyu mwaka, warampaye ico nizigiye). Cinquant’anni fa, ai fanciulli burundesi della scuola elementare si faceva cantare un ritornello sulla felicità: l’invito ai conoscenti a rallegrarsi per l'impegno e l’assiduità che avevano portato a ottenere eccellenti risultati scolastici. Non so se si fa ancora, ma mi stupisce vedere quanto, come in una specie di gioco, il convincimento nel valore dello sforzo personale era inculcato come strada per la felicità. Questo era l’ideale dell’infanzia: impegnarsi qualunque fosse l’onere per raggiungere via via nuovi obiettivi e realizzarsi. Questa idea della felicità e delle sue esigenze era assimilata come in un gioco attraverso il canto e la recitazione, sotto forma di slogan che facevano parte di quella retorica, forza del linguaggio che forgia il moto dell’esistenza, accompagnato dalla gioia della “perfectio sui.” Pensandoci con il distacco cronologico, mi accorgo quanta motivazione e quale fonte di resilienza covava sotto questa retorica sullo sforzo per raggiungere gli obiettivi desiderati, fonte di felicità. La cultura locale di cui siamo stati imbevuti è piena di spunti universalmente validi, anche se declinati in schemi linguistici: diventare un uomo, uomo con i fratelli vicini, uomo per l’umanità intera; respirare come un uomo, ristorarsi come un uomo, agire come un uomo; amare l’uomo, quest’essere paradossalmente debole e forte, debolezza che suscita pietà, forza vera e ammirazione, ammirazione e pietà degne dell’uomo, ma non l’una senza l’altra. Dignità dell’uomo, azione umana, empatia, ecc.: solo tardi, troppo tardi, ne ho imparato i concetti e i meccanismi perché in altre parti del mondo, la razionalità segue schemi lineari e concettuali anziché narrativi e simbolici.